Storia Palestina: Guerra di sei giorni 1968
La “guerra dei sei giorni” del 1967 si risolve per Israele in conquiste durevoli.
Lo scontro è preceduto da due critici mesi (aprile, maggio) nei quali si delineano un’ alleanza militare tra Egitto, Siria e Giordania e una pressione politica e militare su Israele, largamente percepita nella comunità internazionale come una minaccia alla “sopravvivenza” dello Stato ebraico, minaccia rivelatasi in seguito un’invenzione dei servizi propagandistici di Israele per assicurarsi l’appoggio degli USA.
Per questa guerra la Francia fornì a Israele i nuovi aerei da combattimento Mirages che gli conferiranno una netta supremazia aerea.
Una volta di più, è Israele a prendere l'iniziativa. In sei giorni, partendo nelle prime ore dello scontro con l'annientamento a sorpresa del 90 % dell’aviazione dei paesi arabi, gli israeliani occupano per la seconda volta il Sinai e i territori palestinesi a Ovest del Giordano (Cisgiordania e Gaza). In altri due giorni, nonostante la tregua proclamata dall’ONU e accettata dagli Stati arabi, si impadroniscono delle alture del Golan, territorio siriano.
L’8 giugno 1967 gli israeliani attaccarono la nave spia americana Liberty (34 morti e 192 feriti) ufficialmente causa un errore di identificazione, in realtà per togliere di mezzo un testimone scomodo.
Ad un mese dalla guerra i profughi palestinesi sono già 100 mila, diventeranno 300 mila, dacchè Israele inizia subito la politica di insediamento dei coloni.
Il bottino della “guerra dei sei giorni” era importante. Per la prima volta, Israele era entrato in possesso dell'intero territorio della Palestina originaria, Gerusalemme Est compresa. La nuova situazione comportava tuttavia un dilemma, sul terreno della legittimità internazionale: appropriarsi definitivamente di quei territori e colonizzarli, rompendo con il “certificato di nascita” ottenuto, su basi del tutto diverse, dalle Nazioni Unite, o essere disponibili a uno scambio “pace contro territori”.
La sconfitta ebbe per l’Egitto conseguenze traumatiche sfociate nella morte del presidente Nasser (1970) e l’allontanamento dall’ URSS. La delusione e frustrazione dei paesi arabi fu enorme. Centinaia di migliaia di palestinesi (in parte già sfollati nel ‘48) furono costretti a fuggire all’estero, prevalentemente nei paesi confinanti e nei paesi del Golfo.
La guerra del 1967 segnò pure un radicale rafforzamento dell’asse Israele-USA ma anche un’ulteriore condanna da parte della comunità internazionale con la risoluzione 242 dell’ONU e la continuazione del boicotto da parte dei paesi arabi.
Dopo la fine della guerra la resistenza palestinese, guidata da un certo Yasser Arafat, si insediò in territorio giordano da dove lanciava attacchi a Israele. Nel 1948 l’esercito israeliano penetrò in Giordania deciso ad annientare la resistenza palestinese ma fu battuto a Karamé dai reparti palestinesi (che subiscono perdite enormi ma salvano la Giordania e l’onore arabo) appoggiati dall’artiglieria giordana. Yasser Arafat si conferma comandante della resistenza palestinese e si impone all’attenzione dei paesi arabi e del mondo. Tuttavia l’ingombrante e per certi versi anche sfacciata presenza della resistenza palestinese convinse nel 1970 il governo giordano ad espellere i palestinesi combattenti. Il conseguente conflitto tra palestinesi e giordani, noto come settembre nero, costò la vita a circa 15'000 palestinesi. Arafat e i suoi si rifugiarono in Libano e più tardi in Tunisia (vedi storia dell’OLP).