Sono una studentessa universitaria, ho quasi 23 anni, sono una credente e devota alla mia religione e sono felice e orgogliosa di esserlo. Porto il velo per mia scelta. Ma credo profondamente che ognuna deve essere libera di scegliere per la sua vita. Anche perché la mia scelta di portare il velo ha un significato solo quanto ci sarà la libertà di poter scegliere. Ci sono tante mie amiche, persone eccezionali, sensibili e caritevoli che non toglieranno un pelo da una mosca, che importanza ha se non portano il velo? Chi siamo noi per giudicare. Non è giusto circoscrivere tutti i valori dell’Islam in unico indumento solo per le donne. Dobbiamo essere libere di scegliere di vestirci come vogliamo. Il velo è diventato un simbolo di controllo e non un precetto religioso. Ci sono molte cose che devono essere cambiate. Noi donne siamo vittime di regole che non hanno fondamenti religiosi, sono frutto di un’interpretazione di potere che vuole solo controllarci. Non ci riconoscono per il nostro valore, i nostri studi e la nostra capacità.

Dobbiamo essere rappresentate per davvero nelle istituzioni pubbliche e non dalle donne che in parlamento urlano “Morte all’ America” e poi mandano i loro figli nelle migliori università degli Stati Uniti con i fondi pubblici.

Certo che vado a manifestare, proprio per i valori di libertà, di giustizia, di tolleranza e di perdono che riconosco e apprezzo nella mia religione, vado per le stupende ragazze e ragazzi che hanno perso la vita ingiustamente, vado per me, per le mie sorelle, per le mie amiche per tutte le donne di questa meravigliosa terra.


Perché vado a manifestare, a 50 anni e avendo la responsabilità di un’azienda di 12 dipendenti, con le ragazze e i ragazzi che possono essere i miei figli? Buona domanda. Mio padre morì quando avevo 7 anni. Sono stato cresciuto da mia madre. Non si risposò mai dopo mio padre malgrado essere giovane e istruita. Non è facile essere una madre single in una società come la nostra. Per tanti anni avvertivo la sofferenza nei suoi occhi malgrado il suo sorriso che mi proteggeva e mi teneva lontano dalle avversità che incontrava tutti giorni. Malgrado essere laureata, prima della rivoluzione del 1979, con i massimi voti ha lavorato come una semplice impiegata per tutta la vita lavorativa. La sua allergia per il copricapo delle donne si manifestava ogni volta che lo dimenticava da qualche parte. Imprecava e malediceva e se la prendeva con il pezzo di stoffa che doveva mettere sul capo, sbattendolo a destra e sinistra. Non capivo perché tutte le donne portavano il velo e lei invece era così intollerante. Capii a 13 anni, quando un giorno mi ha portato con sé in banca, doveva estinguere un prestito perché era riuscita a stipulare un mutuo con un’altra banca più conveniente. Il direttore di banca ha dato uno sguardo alle carte, guardò mia madre e disse “Ma … signora per questa cosa ha consultato il suo Agha (uomo)?” Mia madre cambiò espressione, i lineamenti delicati del suo volto si sono trasformati in lingue di fuoco, una luce di rabbia e sfida brillava nei suoi occhi. Era più intelligente che cadere nella provocazione. Sorrise e disse con una calma forzata “Signore direttore, è vero che sono obbligata a portare un copricapo ma non sono né analfabeta e né stupida e non ho bisogno di consultarmi con nessuno per ciò che legalmente mi è stato concesso nemmeno con il mio Agha.” Quel giorno mia madre mi ha spiegato che quella battuta conteneva un’ingiustizia secolare che vede le donne inferiori agli uomini indipendentemente dalla loro istruzione e intelligenza e per affermare questo fatto le obbligava a coprirsi la testa. In quel giorno non avevo capito tanto bene cosa voleva dire ma nel tempo ho capito che nessun uomo in questo paese si permetterebbe mai di chiedere ad un uomo se ha consultato la sua “Khanum” (donna). Nel tempo mi ha raccontato tutte le angherie e soprusi che ha dovuto subire solo perché era una donna. Ho capito molte delle sue decisioni che hanno pesato sulla nostra vita giusto per conservare la sua indipendenza e la dignità di essere donna. Mia madre è la mia eroina.

Se non avesse problemi di salute, oggi sarebbe al fianco di questi ragazzi senza un barlume di dubbio. Allora vado io per lei e per mia figlia 20 anni che è per la strada dal primo giorno dopo l’uccisone di Mahsa. Vado per tutte le donne e gli uomini che hanno sofferto in questi anni perché avevano un’idea diversa da quella dominante.

Non voglio un paese in cui c’è una discriminazione di genere, in cui l’obbedienza è l’unica via di sopravvivenza. Io sono figlio di un paese con una cultura immensa dove onore, dignità, gentilezza e ospitalità hanno un vero significato. Appartengo ad una religione che è colmo della pietà, perdono, generosità e pace. Non posso lasciare questi valori ad una manciata di corrotti che si vanta di avere costruito strumenti di morte volanti a costo di ridurre alla fame milioni di persone. Questo paese è anche mio, anche di mia madre e mia figlia. Nessuno può privarci dell’amore che proviamo per questa terra.

Lo so che la strada è lunga e molti di noi soffriremo violenza, carcere e potremmo essere uccisi, come è successo. So che soffocheranno le grida di giustizia nel sangue. So che molto probabilmente ci costringeranno al silenzio, ma tutto questo non è un buon motivo per rimanere in silenzio quando rivendichi la giustizia. Questo è solo un inizio, verrà un giorno che la libertà fiorirà, sono sicuro.