Erano passate 2 settimane dalla morte di Mahsa Amini che aveva incendiato le proteste diffuse in Iran. Il 30 settembre i servizi di sicurezza iraniani aprono il fuoco sui fedeli dopo la preghiera del venerdì a Zahedan. Muoiono 95 persone tra cui molti bambini e rimangono a terra oltre 300 feriti. Centinaia di persone vengono arrestate.

“Sparavano ad altezza d’uomo, senza pietà, solo perché siamo beluci”. Esordisce Naser.14 Iranuprising

Zahedan, la città principale del Sistan-Balochistan, la regione più povera dell'Iran, al confine con il Pakistan e l’Afghanistan. La prevalenza della popolazione, poco più di 580 mila, è di minoranza etnica beluci che aderisce all'Islam sunnita.

“Sono un semplice lavoratore, sono nato qui, sono iraniano, ho 35 anni, non mi hanno mai dato una carta d’identità, neanche i miei due figli ne hanno. Perché? Chiedete a loro”. Dice Naser

Migliaia di nativi iraniani, figli nati tra l’unione di iraniani e stranieri illegali, per lo più afghani, non sono stati registrati all’anagrafe del paese. 5000 persone secondo i dati ufficiali iraniani ma il numero è sicuramente più alto.
Dal Sistan-Balochistan, dalla occupazione sovietica in Afghanistan fino ad oggi, sono passati milioni di profughi Afghani in cerca di un rifugio sicuro. Dopo il disastroso ritiro delle truppe americane e la presa del potere dei Taleban il flusso di profughi è aumentato vertiginosamente.
Durante gli anni, molti di loro sono rimasti illegalmente nei villaggi sperduti della regione sposandosi con i locali e creando famiglie.

“Ci hanno preso sempre a calci, quando avevo 15/16 anni andavo con i miei compagni in città per lavorare come manovale a giornata per portare un pezzo di pane a casa. Ci pagavano una miseria e ci ricattavano perché non avevamo documenti. Abbiamo sopportato per anni questi trattamenti, ci hanno promesso tante cose ma nulla è avvenuto. Ora ci chiamano terroristi, separatisti, trafficanti” continua Naser.

Malgrado il severo controllo di forze di sicurezza iraniane, il traffico di droga ad opera delle bande armate e le operazioni terroristiche del gruppo separatista baluci Jaish al-Adl, con base in Pakistan, rendono la regione una delle più pericolose del paese con un numero sproporzionato di beluci uccisi negli scontri o impiccati.

Naser riprende il racconto: “Già da qualche giorno, prima del venerdì nero, la comunità era nervosa e arrabbiata. A Chabahar (la città a sud della regione – ndr) un comandante di polizia aveva impunemente stuprato una adolescente baluci di 15 anni. C’erano state manifestazioni di protesta in quella città. Comunque mi ricordo che durante la preghiera Sheikh-ul-Islam Maulana Abdul Hamid (Imam sunnita di Zahedan – nrd) ci ha detto che protestare pacificamente era un diritto del popolo e che dovevamo evitare di provocare danni alle cose e alle persone. Mentre salutavo alcuni amici sento spari. Sparavano dalla stazione di polizia ai giovani manifestanti. A un tratto gli spari si sono intensificati e la gente ha cominciato a scappare. Stavo aiutando uno che era caduto a terra quando sento un tonfo vicino e una nuvola bruciante ci avvolge. Era scoppiato un lagrimogeno a due passi. Gli spari diventano raffiche di colpi continui. Non sapevo dove andare, in quale direzione, copro naso e bocca e faccio 20 passi. Ho sentito una voce di donna gridare aiuto. Cerco di avvicinarmi, di dissipare la nuvola e vedo una donna in lagrime, abbraccia suo figlio che non riesce a respirare, un’altra ferita giace in silenzio. Non faccio in tempo ad aiutarle che arrivano tante altre in cerca di una via di fuga. Arrivano altri lagrimogeni. Sentivo solo le grida delle donne mischiate a raffiche di fucili. Non riuscivo ad aprire gli occhi, inciampo e cado. Sento qualcuno direzionare le donne verso una via di fuga. Mi alzo e con gli occhi chiusi seguo la voce. Non so quanto tempo è passato ma quando riesco ad aprire gli occhi, non voglio credere a ciò che vedo. Un campo di battaglia, giacciono a terra centinaia di feriti, l’odore di sangue prevale sull’acre odore di gas. I lamenti strazianti perforano l’anima.
Tra lagrime e sudore, spendo fino all’ultima goccia di energia per soccorrere i feriti e sistemare i corpi dei martiri. Non ho visto neanche un’arma tra le persone che ho soccorso. Non so quanti furono feriti e quanti morti, so solo che è stato un massacro brutale di persone innocenti disarmate.
Non sono né un trafficante e né un terrorista, sono iraniano e Dio mi è testimone che sono pronto a dare la vita per questa terra ma ciò che ci hanno fatto è stato un crimine ripugnante. Dio onnipotente saprà come punirli”.