Iran Le testimonianze di tre giovani iraniani che da tre settimane manifestano nelle piazze del paese, le speranze per il futuro e la rabbia per le ingiustizie subite

Un paese nuovo: è tempo di pensare a cosa vogliamo

M. ha 25 anni. È laureato in Scienze politiche e lavora nel negozio di suo fratello.

Se per ipotesi domani al risveglio non trovassimo più l’apparato politico e amministrativo responsabile della mancanza di libertà sociale e politica, saremmo contenti. Ma questa è solo la parte emotiva della questione. La maggioranza della popolazione è frustrata, ha subito molte pressioni, delusioni, violenze, soprusi. Ha perso completamente la fiducia nei politici e nei dirigenti, è naturale che sia arrabbiata e che voglia spedire tutti all’inferno. Ma occorre pensare che per prima cosa una rivoluzione è un mutamento violento, ogni parte combatte per la sua sopravvivenza, perciò fiumi di02 Iranuprising sangue e lacrime. Ancora più importante è il dopo: come dovrebbe essere e come vogliamo che sia il nostro Iran.

Ecco perché diventa importante sapere dove vogliamo andare e come. Ci sono tanti motivi che ci spingono alla ribellione economica, sociale, politica, ma tutto converge nella sofferenza causata dal malgoverno e dall’imposizione di un modello che non funziona più.Se mai ha funzionato. Questo deve cambiare non necessariamente attraverso una rivoluzione che quasi sempre è distruttiva. Se otteniamo i diritti delle donne, a vivere in sicurezza e la libertà sociale e politica, il resto lo costruiamo noi. Non c’è bisogno di portare al patibolo tutti e distruggere tutto.

Se costringessimo l’establishment a rispettare i nostri diritti, in poco tempo cambierà tutto. La nuova generazione ha una immensa potenzialità, il vecchio modello non può resistere. Moltissimi intellettuali e esperti indipendenti ridotti al silenzio possono dare una mano. Se potessimo portare le nostre idee al vaglio della gente, il cambiamento sarà inevitabile. Ci vorrà tempo e lavoro, forse i nostri figli avranno un paese completamente libero e indipendente che può trovare il suo vero valore nel mondo».



Basta fuggire all’estero per avere un futuro diverso

Cinque componenti della mia famiglia vivono all’estero. So la sofferenza che hanno subito nel lasciarci. Capisco la depressione che vivono lontano dall’odore e dai colori dei luoghi in cui sono nati e vissuti. Io non ho né voglia né coraggio di vivere senza. All’estero non ci sono soltanto iraniani istruiti e benestanti con la ferita della patria nel cuore. Ci sono anche quelli che hanno sofferto l’inverno in Bielorussa alla porta dell’Europa con bambini e donne. Sono andati via perché non vedevano il futuro sotto questa cappa di oppressione.

È del tutto ovvio che desiderano una rivoluzione che cancelli ciò che ha causato la loro sofferenza. Però io non voglio costruire il mio futuro sul sangue e sulle lacrime. Già lo hanno fatto i nostri padri nel 1979 ed ecco dove siamo arrivati.

Quanto sangue dobbiamo ancora soffrire e quante lacrime ancora devono versare i nostri genitori? Un nuovo sistema basato sulla forza, sulle vendette, sul rancore, quando potrebbe durare? Io ho ventiquattro anni e non voglio dire a mio figlio che per dargli un futuro libero sono stata costretta a uccidere e distruggere. È vero, questi uomini malvagi ci picchiano, ci uccidono ma io non voglio essere come loro. È vero, oggi manifestiamo, ci stiamo sacrificando solo per essere visibili e forse questi discorsi sono un può prematuri. Ma è cominciato un processo irreversibile e nessuno può fermarlo.


S. ha 25 anni, è infermiera in un policlinico privato.

Una ribellione nata dall’ingiustizia

F. è laureato in pedagogia e attivista sociale. Ha 28 anni.

Abbiamo solo una via davanti: la rivoluzione. Negli anni, questo Stato ha dimostrato ripetutamente di non aver né voglia né capacità di ascoltare e cambiare. In questo paese ci sono migliaia di intellettuali, esperti e veri dirigenti, scienziati, artisti. Ma appena sono entrati in collisione con il modello dominate sono stati ridotti al silenzio o costretti a fuggire all’estero.

Questo sistema è arroccato in un pensiero unico che non conosce altro. Ha devastato la vita dei nostri padri e delle nostre madri e ora sta rubando il nostro futuro. Siamo da tre settimane in piazza, hanno ucciso e calpestato i bellissimi fiori che erano il futuro del paese. Mahsa, Nika, Sarina e tanti altri. Hanno trucidato gli angeli (bambine e bambini) a Zahedan, alzano la mano sulle donne e sui bambini. Capiscono solo una lingua: la forza.

Molti dicono che la rivolta è influenzata dalle organizzazioni iraniane di opposizione all’estero, Ma per favore. Ci sono così tanta miseria e ingiustizia che non c’è bisogno di essere influenzati da nessuno per ribellarsi. E poi non siamo così ingenui, la storia di quelle organizzazioni è importante, ciò che hanno fatto e fanno. Chi pensa che vogliamo tornare alla monarchia e costruire un’altra Tehrangeles o un paese teocratico marxista significa che non conosce la realtà del paese a 360 gradi. Vogliamo un paese in cui tutti abbiano diritto di cittadinanza e la libertà di esprimere le proprie idee e in cui la sfera privata sia protetta dai soprusi dell’uno o l’altro gruppo di potere.