Dalla mattina si notava una tensione palpabile nella mia città Rasht. Il giorno prima avevamo avuto la notizia di uccisioni di giovanissime ragazze solo perché avevano protestato contro il velo obbligatorio bruciando i loro copricapo. La notizia di radunarsi alle 8 di sera nelle due piazze, Madar e Moalem era girata un po’ tra i social media bypassando i filtri che ne bloccavano il funzionamento, piccoli volantini e passaparola. Ne abbiamo parlato tra gli amici, eravamo tutti indignati, non si può morire a 23 anni perché non hai portato correttamente un fazzoletto sulla testa o hai osato protestare. Decidemmo di partecipare alla manifestazione di quella sera.15 Iranuprising

Non sono giovanissimo, non appartengo alla generazione così detta “Z”. Ho 33 anni e sono un ingegnere elettronico, conosco bene la situazione del mio paese, sapevo che rischiavo di essere arrestato e avere un precedente in questo paese significa giocare tutto il futuro. Tuttavia, c’è una linea sottile che divide la dignità e l’indecenza. In quel momento rimanere indifferenti ci sembrava molto vile. Tutto il pomeriggio ho osservato la gente per le strade della mia città. Si notavano molti gruppetti di giovani e giovanissimi bisbigliare tra loro. Non c’era bisogno di ascoltarli per capire quale forse l’argomento. Ragazze e ragazzi belli, pieni di energia e colori accomunati dalla rabbia contro un’invisibile catena che opprimeva la loro libertà, i loro giochi, la loro musica, il loro ridere e essere insieme, magari sbagliare, cadere e alzarsi a riprovare.

Quando sono arrivato in piazza alle 6 di pomeriggio, il sole era appena tramontato, una lenta brezza portava l’odore del mar Caspio appena 20 km, in linea d’aria, a nord. Ancora mancavano 2 ore dall’inizio della manifestazione ma i gruppetti di polizia antisommossa avevano già occupato la piazza con i loro mezzi, auto, motociclette e pulmini. Chiacchieravano tra loro, sorridendo, erano giovani agili, vestiti in assetto di combattimento con tanto di manganelli, casco, guanti e maschere, allora non avevo notato, fucili a gas lacrimogeno, storditori elettrici e fucili caricati a pallini. È buffo mi erano venuti in mente i soldatini dei video giochi che erano pronti a giocare con i loro avversari.

Con il passare del tempo, tutto cambia. Ci muoviamo verso il centro della piazza a gruppetti, ancora non c’è tanta gente. Appena ci avviciniamo al centro della piazza, all’improvviso la polizia dà inizio alle cariche. Si alzano i manganelli e le imprecazioni. Senza motivo, non abbiamo fatto ancora in tempo a salutarci e ad urlare i nostri slogan. Così siamo costretti a fuggire e trovare riparo nelle strade adiacenti. Sorpreso e affannato, cerco di capire cosa succede. “non vogliono che ci raduniamo in piazza, aspettiamo siamo ancora pochi” urla qualcuno. Qualcuno tenta di parlare con i poliziotti ma appena si avvicina becca le manganellate ed è costretto ad allontanarsi. Guardo intorno, nessuno dei ragazzi porta una qualsiasi cosa che potrebbe sembrare un’arma offensiva, un bastone, un sasso, nulla di nulla. Mi domando perché fanno così con le loro sorelle, fratelli, amici e vicini di casa. Il mio pensiero si interrompe quando qualcuno urla “andiamo”. Così partono i gruppetti di 10/15 da diversi punti della piazza ma appena ci raggruppiamo la polizia carica e ci costringe a tornare indietro. Così comincia un gioco di gatto e topo che dura 2 ore. Ma con il passare del tempo sono arrivate moltissime persone, non ci possono più contenere, le manganelle non bastano più. Finalmente occupiamo la piazza. Un respiro di vittoria anche se so che non è finita. “Donna, Vita, Libertà” cominciamo ad urlare, le ragazze cominciano a sventolare i loro copricapo. Ragazze, ragazzi, giovani e meno giovani alzano il pugno al cielo urlano “Morte al dittatore” scaricando la loro rabbia e tensione. Mi riempie il cuore di orgoglio appartenere ad un popolo che malgrado tutto combatte per la sua dignità e libertà.

 “Stanno arrivando, sono arrivati rinforzi” qualcuno urla. Noto l’avanzamento di un grande numero di motociclisti che si avvicinano velocemente. La gente si agita, dobbiamo fermarli. Corriamo a sbarrare la strada con le stesse sbarre che avevano installate sulla piazza. Le urla di slogan prendono vigore. Partono i colpi di lagrimogeni. Uno, due, tre… l’aria diventa irrespirabile, mi bruciano gli occhi, non ci si vede più. Si sentono colpi di fucile. Arrivano i primi motociclisti, non hanno divisa. Sono in due su ogni mezzo, uno guida e l’altro attacca la gente con gli storditori elettrici e i fucili caricati a pallini. Penetrano nella folla con una ferocia inaudita. Mentre scappo, sento un dolore sulla faccia e sul collo. Il sangue bagna la mia camicia. Sono colpito da proiettili a pallini. Un tonfo al cuore, rallento e mi accascio su me stesso. Vengo soccorso dagli amici, altri cominciano a scagliare contro la polizia tutto quello che trovano, dobbiamo guadagnare distanza. Posso ancora camminare, non posso fermarmi, l’arresto è peggiore. Siamo circondati, “Qui, qui” qualcuno urla. Troviamo la porta di un palazzo aperta, con una decina di ragazzi ci chiudiamo nel cortile e chiudiamo la porta. I motociclisti buttano giù la porta con la violenza, scappiamo salendo le scale, dall’androne del palazzo lanciano lagrimogeni sulla rampa.  Volano i pallini esplosi. Non vedo nulla, continuo a salire e salire, sento il sangue colare dalla faccia ma non sento dolore per l’agitazione e la paura. È l’ultimo piano, non vedo nessuno, sono rimasto solo. Sento salire angoscia nel corpo. Sento le urla di questi infami che colpiscono le porte delle case intimando di aprire. Sto per perdere la speranza quando si apre una porta e una mano mi trascina dentro. Una gentile signora anziana mi accoglie nella sua casa chiude la porta a chiave e mi fa il segno di fare silenzio. Sono minuti interminabili prima che lasciano il palazzo. Grazie alla signora che mi ha accolto io mi sono salvato con 5 colpi di pallini che mi hanno perforato la faccia e il collo. Ma tanti sono stati, malmenati e arrestati. Sono sicuro che non finirà, un giorno prima o poi balleremo sulla piazza di Moalm e racconteremo ai nostri figli come abbiamo conquistato la nostra libertà.